Uno sguardo su New York con gli occhi tristi, il cuore in Italia e la mente in Francia

03:32 Krizia in Travelland 0 Comments


Dalla finestra di casa, oggi non riesco a godermi al massimo questa vista, per i continui elicotteri che sorvolano la zona, per controllarla. Avrei voglia di scendere per colazione per i pancakes con sciroppo d'acero e fragola. Non mi va però di pensare di dover essere osservata. In più la mia amica ha paura che possa succedere qualcosa anche qui a New York. Gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra alla Siria. Vuoi che non succeda qualcosa anche qui? Sì, stiamo seguendo le live news su Twitter. Sì, per ogni sirena della polizia ci guardiamo chiedendoci cosa sarà successo. Sì, stiamo chattando con le nostre famiglie a casa, in Italia. No, non abbiamo voglia di uscire e di prendere la metro. No, non vogliamo regalarci un pomeriggio spensierato a pattinare a Central Park. No, niente shopping, in giro a curiosare le vetrine già addobbate di Natale. Restiamo a casa, con quella triste vista sulla One World Trade Center, anche oggi illuminata di blu, bianco e rosso per Parigi. 


Se penso che fino al 2009 quella torre si chiamava Freedom Tower, mi viene da ridere... libertà un cazzo, visto quello che stiamo vivendo senza (quasi) neanche accorgerci. Mi chiedo se non vorrei essere a casa ora, in una Saluzzo sperduta, che nessuno attaccherebbe mai. In famiglia, tra amici, a mo' di "stessa storia, stesso posto, stesso bar". Sì. No. Boh. Forse. Ora comunque sono qui. Non ci penso. Così come non penso che New York potrebbe essere uno dei prossimi obiettivi. No, sarebbe troppo scontato. Sono al 27° piano, e dalla vetrata della cucina potrei vedere arrivare un aereo che va a schiantarsi con l'Empire State Building. Nah. Vado in camera, e penso che potrei vedere un aereo venire dritto verso di me, per radere al suolo il palazzo. Ma anche no. Basta con questi pensieri. Parte un'altra sirena della polizia. Non è Law & Order alla TV. Il NYPD per strada e nelle stazioni della metro è quello vero. 


Scrivo su Messenger a mia mamma, rispondo su Whatsapp a mia zia, mando una foto ai miei amici della fiaccolata davanti all'ambasciata francese sulla 5th Avenue (non la chiamerò mai, 5 Strada, mi fa troppo schifo). Il messaggio è quasi lo stesso per tutti: "Sì, sto bene. Davvero. No, non lo dico per tranquillizzarti. La paura non la sento, no. La polizia è ovunque. Per ora è tranquillo, sì. Qui a Broolyn tutto a posto, Manhattan almeno per oggi la evito. Mi fermo da Isa, stasera o domattina torno a casa. Sì che la prendo la metro, tanto può succedere qualcosa anche se vado in autobus. Sì, sto attenta. Se ci sono novità ti scrivo. Sì ok, ti faccio sapere. Ciao. Un abbraccio a te. Ti voglio bene anch'io".


E intanto su Twitter si continua a parlare di guerra, di fine del mondo, di tolleranza. Cosa stiamo vivendo esattamente? L'inizio della terza guerra mondiale? Un'operazione dei servizi segreti mascherata dall'ennesimo attacco terroristico? Magari saranno i nostri nipoti a rispondere a questa domanda, quando lo studieranno a scuola. Sempre che lo studieranno. Ormai la storia contemporanea sembra quasi del tutto scomparsa. C'è solo spazio per le civiltà pre-colombiane, i Sumeri, i Babilonesi, i Greci e i Romani... conosciamo a memoria i 7 re di Roma, ma non sappiamo niente sulla guerra in Corea e in Vietnam. Non sappiamo i motivi delle tensioni che esistono da (quasi) sempre tra Stati Uniti e Afghanistan. Non sappiamo quale sia la situazione attuale tra Israele e Palestina. Non sappiamo quale delle due è uno stato. E se lo sappiamo, non sappiamo cosa sia l'altra. Però siamo preparatissimi sulle case romane, con quei bagni termali che abbiamo sempre voluto avere a casa nostra. Dei bagni di sangue attuali, però, meno di zero.


Però condividiamo immediatamente sui social la notizia che Putin dà il via alla terza guerra mondiale. Ci sentiamo fighi, perché stiamo vivendo un momento importante della storia, di cui si parlerà: la guerra. Un conflitto mondiale, che ci permetterà di usare gli hastag #iocero, #3GM e #WWIII. Perché noi siamo quelli della generazione 2.0, siamo poliglotti. Ci possiamo permettere il lusso di seguire le notizie in inglese, per essere aggiornati in diretta e sapere cosa sta succedendo. Tablet, smartphone e pc. Penso ai miei nonni, che quando è scoppiata la guerra non se n'erano neanche resi conto. Non c'era nessun aggiornamento in tempo reale. La gente semplice ed ignorante (in senso buono) era a lavorare in campagna. Finché un giorno gli uomini sono stati mandati al fronte. Questa era la Grande Guerra, senza nessuna tecnologia. Si stava bene quando si stava peggio. Purtroppo è vero. C'è poco da fare. 


Oggi guardo New York con occhi tristi, il cuore in Italia e la mente in Francia. Cerco di capire quale sia la mia vera casa. Casa, d'altronde, è il posto in cui dovrei sentirmi al sicuro. Protetta da chi? Da cosa? I punti interrogativi aumentano. Le prime luci si accendono in città. La candela sul davanzale continua a consumarsi. Come la vita, che scorre, senza che forse neanche ce ne rendiamo conto. Come il tempo che passa, e che incosciamente sprechiamo. Come le vite spezzate a Parigi. E a Beirut. E in millemila altri posti del mondo di cui non si parla. 

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